martedì 17 luglio 2012

Il supermarket della prostituzione a Roma



C'è chi scopre l'acqua calda e c'è chi scopre, soprattutto in prossimità delle elezioni, che per le strade di Roma esercitano il proprio mestiere le prostitute.
Un tempo era la via Salaria ma ora il quartiere a luci rosse, il supermarket del sesso a cielo aperto è diventato l'Eur, leggi Repubblica, con i suoi larghi viali deserti o semideserti quando gli uffici sono chiusi, le piazzole di parcheggio, le boscaglie e le fratte dove nascondersi per la consumazione e con tutta la gamma di offerte del genere: ragazze straniere (in particolare rumene) anche minorenni, mature italiane, trans, prostituti maschi,  con il contorno dei punti di incontro per scambisti. Tentare di contrastare il fenomeno con i mezzi abituali - retate e controlli di polizia, telecamere, multe per professioniste e clienti - è come tentare di svuotare il mare con un cucchiaio. L'unico effetto è di determinare lo spostamento del mercato della carne da una zona all'altra, dai quartieri di Roma alle vie attraverso cui si accede o si esce dalla città e viceversa. E questo perché (forse non a caso di parla del mestiere più antico del mondo) non è mai venuto a mancare nella storia dell'umanità chi mettesse in vendita il proprio corpo (per fare soldi o perché costretto in schiavitù) e chi cercasse di comprarlo.

Si tratta di un fenomeno che può essere analizzato da un punto di vista morale, socio-culturale, criminale e di pubblica decenza.
Lasciamo le valutazioni morali a sacerdoti e filosofi, il superamento delle cause socio-culturali (il rapporto tra i componenti dei diversi generi, l'educazione sessuale, la miseria) alla realizzazione di una società più giusta e laica, il contrasto dell'aspetto criminale (il racket della prostituzione) a magistratura e forze di polizie (evidenziando però che se si volesse contrastare veramente il fenomeno si dovrebbero - anziché limitarsi a telecamere, multe e giri delle volanti - pedinare le ragazze per vedere dove vivono e chi le accompagna al lavoro, intercettare le loro comunicazioni, controllare dove finiscono i soldi guadagnati) e limitiamoci all'aspetto della pubblica decenza. E cioè al sacrosanto diritto di ciascuno di non ritrovarsi ragazze o trans a battere sotto casa e ad essere costretti a subire il carosello di macchine dei clienti in cerca della merce, di non dover provare paura per sè ed i propri familiari nel rincasare di notte, di veder deprezzare il valore della propria abitazione, magari acquisita grazie ad anni di sacrifici, a causa dell'utilizzo dei marciapiedi sottostanti. E non è certo più tranquillizzante avere una prostituta che esercita in un appartamento del proprio condominio.
Mi rendo conto che parlarne in Italia e soprattutto nella città del Papa (chissà però quanti sacerdoti sono clienti abituali delle prostitute o dei prostituti) è pura utopia ma almeno questo aspetto della prostituzione di strada potrebbe essere risolto: consentendo che il mestiere più antico del mondo possa svolgersi in locali pubblici o in aree delimitate, lontani o comunque ben separati dalle abitazioni private. Così come avviene in molti Paesi della civile Europa.
Con la possibilità, ben accetta di questi tempi, di poter arricchire le entrate pubbliche con una qualche tassa sul sesso (non si mettono imposte su flagelli non meno gravi e immorali quali gioco d'azzardo e consumo di alcool?).
Utopia appunto: dopo l'Eur quale sarà il prossimo quartiere a luci rosse di Roma?


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